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LE MIE LETTURE PREFERITE

DA FREYA STARK A DOUGLAS HOFSTADTER
Leggo "Le valli degli assassini" di Freya Stark e non riesco a capire perché non abbia la stessa grande fama (almeno mi pare) di "La via per l'Oxiana" di Byron e "In Patagonia" di Chatwin. Conoscevo già Freya ma questo libro ha qualcosa che lo può portare ai vertici della letteratura di viaggi (la mia preferita in questi ultimi anni). Provo qui a spiegarne i motivi. Innanzitutto la personalità di Freya, che si pone, nei confronti delle persone che incontra,  sempre in termini di rispetto. Siamo lontani anni luce dalla spocchiosità e dalla antipatica ironia di alcuni  viaggiatori di oggi, come Will Ferguson ("Autostop col Buddha) e anche  Bertrand Ollivier ("Verso Samarcanda) che hanno invalidato le loro potenzialmente bellissime imprese mancando di rispetto nei confronti delle popolozioni dei paesi attraversati..
Anche Freya è ironica, o meglio possiede quello humor di qualità che le consente di porsi sempre con distacco nei confronti delle proprie esperienze, lo stesso distacco che  abbraccia se stessa e gli altri.  Tra le sue pagine io non trovo l'inglese colta che considera inferiori i poveri abitanti del Luristan iraniano degli anni '30, ma la donna sicura e paziente che intraprende con calma le imprese più strane, ponendosi su un piano di parità con coloro che incontra, che le fanno da guida, che la ospitano, la arrestano, le offrono il loro poco cibo, o si dimenticano, come Shah Riza di procurarle il pranzo dopo ore di lunghe cavalcate negli altopiani aridi e desertici. C'è sempre, accanto allo humor leggero e piacevole, un accento di affetto nei confronti di questi uomini così diversi da lei.
E passiamo al secondo motivo: la descrizione puntuale, limpida, affascinante del paesaggio attraversato. Con Freya si compie quel miracolo di "empatia letteraria" di cui parla anche Douglas Hofstadter in "Anelli nell'io". Si tratta della "universalità rappresentazionale" che può essere spiegata così: la nostra mente attraverso i simboli che in essa si sono formati, può replicare una quantità di esperienze e può importare dentro di sè idee ed avvenimenti anche senza bisogno che noi ne siamo testimoni diretti. Questo può avvenire attraverso la lettura di pagine che in qualche modo "accendono" i nostri simboli. E può avvenire soprattutto quando ci troviamo di fronte a pagine di grande letteratura. Leggendo Freya, si percepisce tutto dei luoghi che lei ora dopo ora, giorno dopo giorno, instancabilmente percorre. Luoghi in cui negli anni '30 del '900 nessun europeo aveva ancora attraversato, e ancora oggi difficili da visitare e conoscere.
 Potremo fare esperienza del profilo della catena del Sefid Kuh: " così netto che solo a guardarlo l'animo era inondato di pace." Potremo attraversare la valle del Gatchenah , dove: " non v'erano case nè alberi, ma una vastità deliziosa". Potremo spingere lo sguardo verso le carovane di mercanti di carbone, che: "si riposavano all'ombra delle rocce e mangiavano pere selvatiche raccolte nella foresta." Immergerci nella fitta vegetazione lungo la discesa del Gildar dove: "C'erano ginestre e tamerici, biancospini e querce, un albero con le foglie piccole che si chiama keikum, e il wan che ha le foglie grandi, bacche commestibili color blu pavone ed è molto profumato.".
E arrivo al terzo motivo: Freya nel corso del suo viaggiare vive e fa vivere una incomparabile esperienza di silenzio. "le pareti rocciose del Peri Kuh emergevano dall'oscurità, inondate dalla luce lunare: il silenzio era sconfinato e bellissimo." "E di nuovo intorno a noi ci fu una splendida pace, una solitudine ininterrotta." "Il silenzio e la solitudine ristagnavano piacevolmente, con un delizioso senso di pace."
Potrei andare avanti, per esempio si potrebbe parlare della povertà e della dignità degli abitanti delle tribù nomadi incontrati da Freya, delle rotonde forme di pane impastate e cotte alla svelta in ogni occasione,  del bambino morso da un serpente e curato a lungo da Freya. Delle avventure con i solerti poliziotti delle valli "degli assassini".
Mi fermo, con un'ultima immagine scelta per voi che avete avuto la pazienza di arrivare fino alla fine di questo lungo post!
"L'aurora color tortora strisciava sul paesaggio deserto spianando l'alta cresta che ci stava davanti in una dolcezza ombrosa e uniforme, come se la mente degli uomini, crescendo in saggezza, per eccesso di luce riuscisse a spianare gli ostacoli che le stanno davanti, " Freya Stark, p.76, Le valli degli assassini, Guanda.
(Douglas Hofstadter, pp.299-300, Anelli nell'io, Mondadori)

LE SCHEGGE DI DOUGLAS
Il problema della coscienza mi ha sempre interessato, così ho letto con piacere ( e, non nego, con parecchia difficoltà)  "Anelli nell'io" di Douglas Hoftstadter che ha come sottotitolo la domanda "Che cosa c'è al cuore della coscienza?". Si possono dire tante cose sul libro e sul suo  autore così famoso. A me ha colpito  la sua onestà: chiarisce bene il proprio punto di vista piuttosto materialista che spiritualista, ma non rinuncia a cercare una risposta al  mistero dell'io, della coscienza, della loro permanenza dopo la morte. Ciò che preferisco nella sua analisi è l'atteggiamento in cui si pone nel guardare alle persone e alle relazioni. La sua teoria può essere più o meno condivisibile, le sue osservazioni in tutti i casi hanno una notevole forza intrinseca.
In una pagina molto bella Douglas racconta che un giorno sua madre guardava con molta tristezza la foto di suo padre morto da pochi mesi: la foto è ormai inutile, non è che un pezzo di carta. Lui non riesce ad accettare questa inutilità della fotografia...e gli viene in mente un'analogia, attraverso la quale trasmettere a sua madre ciò che sente. La foto è come uno spartito di Chopin: un banale pezzo di carta pieno di segni neri: visti così, nella loro essenza puramente materiale, la foto e lo spartito sono insignificanti. Eppure, milioni di pianisti suonando al pianoforte quelle note hanno trasmesso le emozioni profonde che Chopin aveva provato nel creare quella musica ...da quell'inutile pezzo di carta scaturisce ancora e per sempre l'interiorità del musicista, le note sono come schegge delle sua anima. Anche dalla foto "dolce e commovente" di suo padre scaturiscono schegge della sua anima.
"Come le note sullo spartito di uno studio di Chopin, quella fotografia è una scheggia d'anima di qualcuno che se n'è andato, ed è qualcosa di cui dovremmo fare tesoro finché viviamo"  Anelli nell'io, p.22. Ed. Mondadori


OLIVER TWIST: UNA PIACEVOLISSIMA LETTURA
Non era esattamente un libro estivo, ma è stata una piacevolissima lettura, e finalmente ho iniziato a colmare questa grande lacuna: appassionata di letteratura, e di letteratura inglese in particolare, conoscevo di Dickens solo "Un canto di Natale". Mi fermavano i pregiudizi: per esempuio, il fatto che parlasse spesso di orfani...mi portava a immaginare storie tristi e noiose. Il fatto che sia considerato uno dei grandi della letteratura in generale...mi portava a credere che fosse un tipo estremamente denso e complesso. Niente di tutto questo, la sua costante ironia rende divertenti persino le situazioni più drammatiche, le pagine volano grazie alla tensione ed all'interesse che continuamente vengono creati, le atmosfere (ecco...la loro fama in effetti ha vinto alla fine i miei pregiuduzi) sono talmente vive  da farti credere di "esserci stato"  di "averli conosciuti"...I personaggi descritti in modo preciso, colorato, avvincente. E a tutto ciò si aggiunge una qualità specifica dei grandi romanzi ottocenteschi: sono diretti, chiari, concreti...non si perdono in situazioni fumose, hanno un'inizio ed una conclusione espliciti. Comunque, Oliver si legge di corsa...ad averne risentito sono purtroppo i miei occhi. Ora aspetto di vedere il film che mi arriverà tra pochi giorni e del quale ho già apprezzato la colonna sonora.  

IO STO NEI BOSCHI
Vorrei innanzittutto parlare del libro che tra pochi minuti riprenderò in mano: "IO STO NEI BOSCHI" di Jean Craighead George...che dire? Da sempre desideravo leggerlo e non sapevo che esistesse! Ho scoperto in realtà che è un classico per i bambini americani, che dal 1959,  anno della prima edizione, non hanno smesso di leggerlo. Questa per me sconosciuta autrice  comincia con una prefazione deliziosa che non viene  smentita dal contenuto dei 22 capitoli. La storia è quanto di più ingenuo e semplice si possa immaginare: Sam, ragazzino di circa 16 anni, per sfuggire all'oppressione della vita in città, dentro un piccolo appartamento condiviso da 11 persone, se ne va via a vivere da solo nei boschi dei monti Catskill, dove un tempo aveva abitato anche il suo bisnonno. Sam realizza così il sogno di qualsiasi bambino, adolescente, giovane... del mondo intero: vivere completamente solo, procurandosi da mangiare ciò che offre la natura, avendo per amici gli animali, risolvendo ogni difficoltà con tenacia, ottimismo e facilità. E' chiaro che si tratta di un puro sogno? E' chiaro, purtroppo la realtà ha dimostrato che non tutto si risolve così facilmente vivendo nei boschi in completa solitudine.  Mi sto convincendo che anche Chris Mc Candless, da ragazzino,  avesse letto il libro: Chris è il giovane americano che cercò di vivere in completa indipendenza "nelle terre selvagge".....ed il film "Into the wild" ha raccontato splendidamente la sua storia, che purtroppo  non è uguale a quella di Sam. Ecco, questa è l'unica nota di tristezza che si lega per me al libro, che è invece pieno di positività e comunica un senso di felice appagamento. "Io sto nei boschi"  si legge velocemente (purtroppo),  ed io ho controllato la fine perché non ho resistito: bellissima. Ora, piuttosto che raccontare la trama, del resto veramente semplice, trascrivo qui i titoli di alcuni capitoli:
Cap. 3: COME TROVAI LA FATTORIA GRIBLEY- Cap. 5: QUI VI RACCONTO...DI UN VECCHIO, VECCHIO ALBERO- Cap. 13: COME L'AUTUNNO MI PROCURO' CIBO E SOLITUDINE- Cap 18: QUELLA VOLTA CHE...IMPARAI MOLTE COSE SUGLI UCCELLI E SULLE PERSONE -Cap.19: IL GIORNO IN CUI...MI GUARDAI INTORNO E SCOPRII LA PRIMAVERA NELLA NEVE.   Finisco con un dettaglio, finora per me il più affascinante: Sam vive dentro un albero, si, in una comoda stanza con letto, ripostigli e focolare in cui cuocere le focacce di farina di ghiande (da spalmare naturalmente con la marmellata di mirtilli).

OMBRE SULLA VIA DELLA SETA
Da ieri ho finalmente  dei nuovi libri da leggere che mi interessano molto per motivi diversi. Uno di questi è "Ombre sulla via della seta" di Colin Thubron, un autore che già conosco. Ho una passione per i libri che raccontano viaggi "On the road" e ho già parlato, per esempio, di Ella Maillard che negli anni '30 se ne andava sola e indipendente nei deserti e nelle steppe dell'Asia. Un modello per me irraggiungibile....una vita totalmente "altra" che sono stata molto felice di poter almeno condividere attraverso i suoi resoconti. Colin Thubron è un contemporaneo ed ho impiegato un pò di tempo ad abituarmi al suo stile, all'inizio lo trovavo troppo fermo e privo di emozioni. Invece col tempo ho imparato ad apprezzarlo: non fa quasi nulla per affascinare il lettore, ma proprio per questo ciò che racconta sa di vero. Con gli anni poi ha acquisito una profondità che mi piace e comunica "atmosfere".  Questo suo ultimo libro mi interessa in modo particolare perché parla di paesi dei quali in Italia ignoravamo praticamente tutto fino a pochi anni fa. Chi mai nominava Il Kirgizistan? Il Kazakistan, il Tagikistan? Paesi che ora si stanno facendo velocemente strada nel mondo globale...soprattutto il Kazakistan, ma per me  realtà ancora piene di mistero, storie sconosciute, persone che vivono in un altro tempo.

HAREY
Durante l'estate (già lontana...) ho letto "Solaris" di Stanislaw Lem, l'ho trovato molto bello. Sono andata a cercarmi sulla rete i commenti e le recensioni e ho visto anche il film di Tarkovskj. Solaris è un classico della fantascienza, ma non è solo questo: trasmette tante suggestioni, porta la mente ad aprirsi verso esperienze nuove.
La storia è nota: tre scienziati , a bordo di una base spaziale lontanissima dalla Terra, cercano di stabilire un contatto con l'oceano vivente che copre il pianeta Solaris. L'oceano non manifesta un'identità personale, ma sa leggere nella mente degli umani e sa materializzare le zone più sensibili della coscienza. Grazie a questo fenomeno arcano, il protagonista si trova accanto la donna che amava, morta suicida dieci anni prima.
Ho notato che nei commenti al libro l'attenzione si ferma soprattutto sui significati dell'oceano...è vero, l'oceano cattura...ma io sono rimasta colpita soprattutto dal personaggio di Harey, che silenziosamente ricompare accanto a Chris.
Lo scrittore sa descrivere come perfettamente reale una situazione assurda. Ci sono vari passaggi, in un crescendo che porta a entrare dentro la verità dei personaggi e anche dentro noi stessi.
All'inizio Chris cerca di respingere Harey...accoglierla infatti significherebbe arrendersi all'irrazionale, impazzire. Lei ritorna però, e i suoi gesti delicati confermano la sua identità, forse è una nuova Harey, ma è anche quella perduta dieci anni prima. Lo scrittore riesce a trasmettere sensazioni e stati di coscienza, rende credibile un personaggio che non dovrebbe avere nessuna realtà.
C'è come una verità in queste pagine: niente è veramente perduto di ciò che ha fatto parte della nostra coscienza, soprattutto i legami più forti, quelli che sono fondati su emozioni e sentimenti profondi, finiscono per acquisire una vita propria, che continua ad esistere anche oltre lo spazio tempo, oltre la sua finitezza. E' come se lo scrittore ideando intuitivamente il personaggio di Harey, sia riuscito ad addentrarsi un pochino nel mistero della vita oltre la morte. Questo, secondo me, è il fascino di Solaris.

"...e non so se fu per questo che cominciai a essere inquieto; continuavo a ripetermi che era un sogno, ma provavo una stretta al cuore." P.61
"Sentii un fruscio e un leggerisimo scricchiolio della porta che si apriva:-Chris...?- percepii nel silenzio una voce che era quasi un sussurro.- Sei qua Chris? C'è tanto buio.
-Non importa- dissi. -Non aver paura, vieni." P.97

(Stanislaw Lem, Solaris, oscar mondadori, classici moderni, febbraio 2007)

IL DOTTOR ZIVAGO
Quando si è molto amici di qualcuno arriva sempre un momento, lungo il fluire dei giorni, mesi, anni...in cui desideriamo veramente rivederlo, parlare un po' con lui, mettere in comune ciò che stiamo vivendo. A me questo capita anche con i personaggi letterari. Il dottor Zivago è uno di questi: soprattutto quando mi sento intrappolata dal freddo inverno, ripenso a lui e mi torna in mente la sua intelligenza sensibile e acuta, il carattere forte e fragile, i ricordi di quel bambino che lanciava un pugno di terra sulla tomba della madre, di quell'uomo che non riusciva a porre in antitesi i suoi sentimenti per donne diverse, perché in entrambi i casi esisteva una purezza estrema in quei sentimenti. Ripenso al medico-poeta, preso in ostaggio dai rivoluzionari, schiacciato nella propria dignità fino al punto di non ricordare più niente della sua professione e della sua arte. Certo, avendolo conosciuto, si capisce bene perché il suo scrittore sia stato tanto osteggiato: riesce a dare la prova più vera del fallimento di qualsiasi rivoluzione che, anche partita da grandi ideali, finisce in realtà per distruggere il rispetto per l'uomo e per la sua dignità. Nessun ideale rivoluzionario, da qualsiasi parte politica venga, può giustificare l'annullamento dell'intelligenza, dell'arte, dei sentimenti in un uomo.
"Il dottor Zivago", come, credo, tutte le opere d'arte, si offre a molti livelli di lettura.
Io non li ho ancora esplorati tutti, ma voglio ricordare qui uno dei miei preferiti: la costante presenza della natura (i famosi e sconfinati spazi degli Urali) che rispecchia in tutte le sfumature i sentimenti dei protagonisti. La natura capisce e accompagna sempre Zivago.

" Un silenzio assorto, colmo di felicità, che riverberava dolcemente la vita, circondava Jurij Andrèevic. La luce della lampada cadeva con un giallo tranquillo sul biancore dei fogli e con un riflesso dorato nuotava sulla superficie dell'inchiostro, all'interno del calamaio. Fuori della finestra stava l'azzurra notte invernale, di gelo. Jurji Andrrèevic passò nella stanza accanto, fredda e non illuminata, da cui si vedeva meglio l'esterno, e guardò dalla finestra. La luce della luna piena fasciava la pianura nevosa con la vischiosità tangibile dell'albume o della biacca. Dinanzi all'indescrivibile sontuosità della notte di gelo, si sentì invadere l'anima da tutte le cose. Tornò nella stanza illuminata e calda, e si accinse a scrivere."

"Il dolore rendeva più acuta la sua sensibilità e gli faceva percepire le cose con tanta maggiore vivezza. Nel vento invernale, quasi simile a un compassionevole testimone, spirava un'infinita partecipazione. Era come se fino ad ora mai fosse imbrunito così, come se il tramonto fosse sceso per la prima volta quel giorno, a consolazione di un uomo rimasto orfano, piombato nella solitudine; come se i boschi tutto intorno, sui collli, non costituissero solo un limite del panorama, chiudendo l'ultimo orizzonte, ma vi si fossero disposti uscendo dalla terra per esprimere la loro partecipazione."

(Il dottor Zivago- Ed. Feltrinelli del 1959)


UN PESCE CHE VA IN BICICLETTA
 Si tratta di un ibro appena uscito, in vetrina sul sito http://www.ilmiolibro.it/. E' una raccolta di battute...folgoranti! Fanno moltissimo ridere e quindi hanno un potere terapeutico, suscitando un senso del ridicolo veramente benefico. Non fanno ridere solo la prima volta cle le si legge ma anche a distanza di tempo, quando ritornano in mente. Io le ho lette la prima volta in un momento in cui ero particolarmente stanca e stressata e loro (le battute) l'hanno avuta vinta sullo stress e la stanchezza. Una delle mie preferite è senz'altro quella sulla gazzosa...ma anche le Berlusconi-battute meritano. Il libro l'ha scritto un certo Michele Marongiu.



L'ANELLO DI ACQUE LUCENTI
Ho comprato per caso il libro di Gavin Maxwell un'estate di molti anni fa. Allora non sapevo che già alla sua prima uscita era diventato famosissimo e, in realtà, in Italia non proprio tutti lo conoscono. Mi piace soprattutto la prima parte, la vita solitaria a Camusfearna (Sandaig) e non mi stanco di rievocare dentro di me i tanti particolari che, in realtà, non ho visto e non vedrò mai, anche perché la casa è andata distrutta in un incendio nel 1968. Forse anche le case, come le persone, possono vivere ancora dopo la morte? E' probabile.
Quando Gavin per la prima volta varca la soglia di Camusfearna, la trova del tutto vuota, ma sarà il mare stesso a procurargli l'arredamento:
"In casa non c'era traccia di mobili... Dentro, lo spazio era molto maggiore di quanto mi aspettassi.
...Dieci anni di eremitaggio a Camusfearna mi hanno anche insegnato che se si ha la pazienza di aspettare, quasi tutti i possibili oggetti domestici vengono prima o poi a depositarsi sulla spiaggia nel raggio di un miglio dalla casa, e ancora oggi raccogliere quel che il mare deposita sulla sabbia ha per me lo stesso fascino e mi dà lo stesso senso di trepida attesa che aveva allora.
...Ci fu un giorno, durante il mio secondo o terzo anno a Camusfearna, in cui dissi: "Ora manca solo una cosa, un cesto per la biancheria sporca", e alcune settimane dopo approdò sulla spiaggia un cesto, un grande, nobile cesto in ottime condizioni."
Starei ancora qui a lungo a scrivere, forse perché scrivendo mi sembra di sentire il suono della risacca o la voce della cascata ( "la sua musica cambia con le stagioni, dal sordo, minaccioso rimbombo delle notti d'inverno al basso canto sommesso dell'estate...") oppure quella dei cigni selvatici ("...argentee trombe squillanti nella chiara aria azzurra.").
Termino allora con quest'ultimo passo, preso un po' a caso, tra le pagine che ancora sto sfogliando:
"E' un perpetuo, esaltante mistero vivere in riva al mare, un ritorno per certi aspetti all'infanzia, per altri invece per ognuno di noi la riva del mare rimane la riva dell'ignoto; il bambino osserva stupito le lucenti conchiglie, le alghe colorate e i rossi anemoni di mare dei fondali rocciosi con l'ottica infantile attenta soprattutto alle piccole cose; l'adulto, che sa trattenere lo stupore, integra la sua indagine con alcune cognizioni parziali che servono a renderla più precisa, aiutandosi con l'ottica di chi sa cogliere associazioni e simbolismi, cosicché la sponda dell'oceano coincide con quella del proprio inconscio.

IL CAMMINO DELL'UOMO Leggo in questi giorni un libro piccolissimo e bellissimo: "Il cammino dell'uomo" di Martin Buber.
L'argomento è affascinante: il rapporto dell'uomo con se stesso, raccontato attraverso l'esperienza del chassidismo. In più c'è qualcosa di semplice e insieme geniale che credo venga direttamente da chi l'ha scritto.
L'autore, lungo il filo conduttore delle sue riflessioni, riporta molti racconti ebraici. li scopro per la prima volta e oggi mi è rimasto in mente questo:
                         " Rabbi Hanoch raccontava: "C'era una volta uno stolto così insensato che era chiamato il Golem. Quando si alzava al mattino gli riusciva così difficile ritrovare gli abiti che alla sera, al solo pensiero, spesso aveva paura di andare a dormire. Finalmente una sera si fece coraggio, impugnò una matita e un foglietto e, spogliandosi, annotò dove posava ogni capo di vestiario. Il mattino seguente, si alzò tutto contento e prese la sua lista: "Il berretto è là" e se lo mise in testa; "I pantaloni lì", e se li infilò; e così via fino a che ebbe indossato tutto. "Sì, ma io dove sono? - si chiese all'improvviso in preda all'ansia - Dove sono rimasto?". Invano si cercò e ricercò: non riusciva a trovarsi. Così succede anche a noi., concluse il Rabbi.

Come ha già detto qualcuno, credo che sia uno dei libri più belli che abbia mai letto. Anzi: è molto più di un libro.


 NEI DESERTI E NELLE STEPPE
Turkestan. Kirghizistan, Xinjiang, Zungaria, Pamir, Sirte, Qaidam...cito un po' a caso solo alcuni dei luoghi visitati, o meglio percorsi, da Ella Maillart negli anni'30. Percorsi a piedi, con gli sci, a dorso di cammello, a cavallo, su muli testardi, al seguito di lunghe carovane oppure completamente sola.
Mi piace tantissimo la vita di Ella, che del tutto libera e indipendente se ne va per steppe e deserti nel cuore sconosciuto dell'Asia. I suoi resoconti sono precisi e avvincenti, anche se lei dice di non aver mai saputo scrivere. Quando contemplava le stupefacenti vette Himalayane o l'imponente catena del Tian Shan desiderava soltanto salire fino in cima, non la fermava il morso inaspettato di un cane sospetto di rabbia, né un'improvvisa febbre a 39°, né le notti passate a combattere contro le noiosissime pulci dei rifugi lungo il cammino. Non è mai sentimentale Ella, anche questo mi piace di lei, e non esprime nessuna religiosità, però scrive: "...ascolto il silenzio di quella regione desertica, il silenzio che mi manca quando sono tra gli esseri umani, il silenzio profondo che riempie il cuore di immensità" e ancora: "Tussun mi porta una rosa enorme coperta di rugiada, ho le lacrime agli occhi -complice la stanchezza, chissà, nel vedere che il mondo sa offrire tanta bellezza."
Ella Maillart è morta nel 1997: all'età di 94 anni!

L'EPOCA BIANCA
Gli astrofisici svolgono ricerche sulla materia a temperature elevatissime e hanno tratto alcune conclusioni su quale fosse lo stato fisico della materia nelle frazioni di tempo immediatamente successive al big bang. C'è un istante chiamato "l?istante di Planck" che si esprime con uno zero seguito dalla virgola e da 41 zeri prima della cifra 1, e segna il momento più vicino all'origine dell'universo. Con questo istante ha inizio quella che Kippenhahan chiama "L?Epoca grigia"...l'epoca in cui l'universo ha iniziato a espandersi. Ogni frazione di frazione di secondo dell'Epoca grigia è studiatissima. La sfida delle sfide: capire cos'è successo e come.
Ma c'è anche un'altra Epoca: lo stesso astrofisico la chiama Epoca bianca ed è l'Epoca che precede l?istante di Planck.
Di quest'Epoca nessuna informazione ci è giunta, nessuna delle leggi che conosciamo è applicabile ad essa. Non sappiamo cos'era allora il tempo.
...Che dire allora dell'Epoca bianca?
Nonostante la totale mancanza di dati, c'è un esploratore invisibile che abita con noi, e non teme di avventurarsi in quei luoghi insondabili, di oltrepassare anche l'istante di Planck.


ANNE FRANK
Circa un mese fa ho comprato l'edizione integrale del diario di Anne Frank. Non sapevo dell?esistenza di due diari paralleli in quanto Anne, a partire dal maggio 1944 aveva riscritto il testo adattandolo in previsione di una pubblicazione dopo la guerra, come promesso dal ministro Bolkenstein. L'effetto che ha avuto su di me la lettura del diario è stato grande. Naturalmente già lo conoscevo e apprezzavo ma da queste pagine, dove è presente un 25% in più e dove viene rispettato lo stile lessicale di Anne, ho percepito qualcosa di diverso. Anne è molto più ironica e ribelle. Per un mese ho respirato l'atmosfera che lei respirava, i miei pensieri si sono mescolati ai suoi.  


UNA TESTA BEN FATTA
Ho iniziato a leggere un testo che mi è stato consigliato in una piccola e bella libreria: La testa ben fatta di Edgar Morin. L'ho appena cominciato ma già mi attrae. Ecco un passo tratto dal prologo:
-A dire il vero la parola insegnamento non mi basta, ma la parola educazione comporta un troppo e una mancanza. In questo libro farò lo slalom fra i due termini, avendo in mente un insegnamento educativo.
La missione di questo insegnamento è di trasmettere non del puro sapere, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere; essa è nello stesso tempo una maniera di pensare in modo aperto e libero.
Kleist ha proprio ragione: Il sapere non ci rende migliori né più felici. Ma l'educazione può aiutare a diventare migliori e, se non più felici, ci insegna ad accettare la parte prosaica e a vivere la parte poetica delle nostre vite.
Mi piace soprattutto quest'ultima frase. Certo andare a scuola e diventare capaci di "vivere la parte poetica delle nostre vite"...non sarebbe poco ma, credo, tutto.



L'INCREDIBILE TRA I GHIACCI ANTARTICI
A distanza di due anni esatti ho riletto Endurance di Alfred Lansing, L'incredibile viaggio di Shackleton al polo Sud. Non è da moltissimo tempo che mi interesso di esplorazione e quindi ignoravo perfettamente quello che era stato il tentativo di 28 uomini, nel 1914, di arrivare a piedi al polo Sud, partendo da una base sulla banchisa del mare di Weddel, dove erano giunti a bordo della nave Endurance.
Basta essere solo un pizzico più esperti di me per sapere che in realtà imprese di questa portata ce ne sono state tante, ma quella di Shackleton e dei suoi 27 compagni è diversa. Personalmente, mi ha lasciato per diversi giorni in uno stato di stupore incredulo, da cui sono poi nate molte riflessioni. Dopo due anni dalla prima lettura le confermo tutte. Innanzittutto, l?impresa è miseramente fallita perché la bellissima e resistente Endurance, il 19 gennaio 1914 è stata stritolata dalla pressione dei ghiacci del mare di Weddel. In secondo luogo, l?equipaggio non aveva ancora nessun mezzo di comunicazione, neppure la radio, che permettesse un contatto col mondo civile. Ed ecco in una lunga...sintesi cosa accadde:
- Il 27 ottobre la nave dovette essere abbandonata e l'equipaggio tentò di raggiungere l?isola di Paulet attraversando i ghiacci con una faticosissima marcia,(venivano trasportate anche le tre scialuppe di salvataggio, lunghe ciascuna intorno ai 6 metri, robuste e pesanti).
- Il 14 gennaio gli uomini dovettero uccidere i cani da slitta, che avevano allevato e ai quali erano molto legati, per mancanza di viveri.
- Fino all?8 aprile 1916 rimasero sulla banchisa, sopportando fame, gelo e tempeste, e quando questa finalmente si aprì, partirono a bordo delle tre scialuppe per raggiungere l?isola si Elephant: affrontarono con dei gusci di noce uno dei mari più tempestosi e pericolosi della Terra, rischiando tra l?altro il congelamento.
- Raggiunsero Elephant il 15 aprile del 1916: un?isola gelata e battuta dalle tempeste, dove nessuno sarebbe mai arrivato a salvarli.
- Shackleton il 24 aprile partì verso la Georgia Australe (distante 700 miglia marine) insieme a cinque uomini, per cercare aiuto. Le probabilità di arrivare a destinazione erano praticamente nulle.
- Dopo 15 giorni di navigazione i 6 uomini arrivarono in Georgia Australe. Per raggiungere la stazione baleniera di Stromness, Schaclethon attraversò a piedi l?isola, coperta di ghiacciai e picchi alti fino a duemila metri, con 15 metri di corda e un?ascia da carpentiere come unico equipaggiamento. Arrivarono a Stromness il 20 maggio.
- Immediatamente Shackleton organizzò la spedizione di soccorso, trovare navi disposte a rischiare era difficilissimo e tre tentativi fallirono per le condizioni del mare. Il quarto tentativo riuscì e il 30 agosto del 1916 Schackleton potè gridare ?Tutti bene?? ai 22 uomini che lo aspettavano sulla spiaggia di Elephant e che risposero ?Tutti bene!?
......Sono consapevole che i post troppo lunghi non sono simpatici, e penso che questa eccezione resterà unica. Ancora qualche parola sulle mie riflessioni:
- L?equipaggio di 28 uomini si è salvato al completo nonostante ciò non apparisse e non appaia tuttora ragionevolmente possibile.
- Perchè?
- Perché hanno sopportato, immersi per lunghi mesi nel buio e nel gelo polari lo svanire di un sogno e le condizioni di sopravvivenza pessime?
- E? stato il carisma di Schackleton? (Si, certo, ma non basta);
- E? stata la compattezza del gruppo? (Ha contato molto, ma non basta)
- E? stata la capacità di resistenza? (E allora vale la pena chiedersi da dove possa arrivare)
- E? stata la grande pazienza di tutti? (E qui, sicuramente mi fermerei a pensare....)


JANE EYRE
 Come tutti i capolavori, ha qualcosa di particolare. Potrebbe essere per esempio la forza vitale delle parole usate dalla scrittrice, che trasmettono un realismo tale da permettere al lettore di vedere e sentire in modo stranamente tangibile tutto ciò che legge. E' un'impressione che ho trovato comune ai vari commentatori del romanzo e che anch'io ho provato. Solo i grandi scrittori sanno trasmetterla.
Naturalmente il feeling col romanzo può essere di vari livelli (i gusti sono gusti).
Trovo molto belle le descrizioni del paesaggio attorno a Thornfield.
Dal cap.XII:
" L'orologio della chiesa suonò le tre mentre passavo sotto al campanile; il fascino dell'ora risiedeva per me nel crepuscolo incombente, che già velava d'ombre i pallidi raggi del sole basso all'orizzonte. Ero a un miglio da Thornfield, in un sentiero rinomato per le rose selvatiche che vi fiorivano in estate, per le more e le nocciole in autunno, e dove ancora qualche bacca rossa occhieggiava tra le siepi; ma in inverno la vera attrattiva di quella strada stava nella spoglia solitudine, nel suo fondo silenzio."


QUEL LONTANO GIARDINO DI FOGLI
E' il giardino dei primi libri letti, quelli che hanno lasciato in noi una traccia del genere "per sempre". Che hanno permesso di prendere voce a pensieri fino allora silenziosi e incerti. In questo momento mi viene in mente uno di questi libri, in realtà una lunga storia in sette parti: una ragazzina che cresce da trovatella, nella miseria dei duri inverni svedesi (la Svezia ancora semifeudale di fine ottocento) ed impara ad essere forte e sensibile. La storia aveva aspetti ancora ottocenteschi (la ragazzina che alla fine si scopre nipote del castellano)che rendevano affascinante il racconto, ma la cosa più bella era il realismo descrittivo che faceva uscire dalle pagine un mondo vero e dei personaggi vivi. Certo, nei boschi dove i bambini per lunghe ore raccoglievano i mirtilli, non mancava anche un alone di mistero, e veniva soprattutto da uno dei personaggi più belli della storia: Dal Pelle, un vecchietto strano e scorbutico, evitato da tutti, un pò simile ad uno gnomo, che viveva solo in una piccola casetta nella radura, e aveva la capacità di "sentire" il bene e il male che stavano dentro ogni persona che incontrava e di "vedere" il loro futuro.
L'autrice di questi libri è perfettamente sconosciuta in Italia, ho sempre avuto l'impressione di essere l'unica ad averli letti, li considero ancora oggi bellissimi e mi sembrerebbe molto strano sapere di qualcun altro che, come me, li andasse a "visitare", ogni tanto , in un angolo nascosto del suo giardino.

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